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da Liberazione 14/01
Intervista a Kostas Moschochoritis, direttore generale della sezione italiana di Medici Senza Frontiere
di Matteo Alviti
«Stefano ci ha detto di aver visto un numero incredibile di cadaveri per le strade». Kostas Moschochoritis, direttore generale della sezione italiana di Medici senza frontiere , nonostante le difficoltà è costantemente in contatto, via satellite, con la capitale haitiana sconvolta dal sisma di martedì. Stefano di cognome si chiama Zannini, ed è uno dei coordinatori a capo della missione di Haiti, dove già dal 1991 Msf offre soccorso medico gratuito - in un paese dove la sanità si paga e un cesareo d'urgenza può costare 300 dollari. L'Ong, Nobel per la pace nel 1999, opera con il suo personale in oltre 60 paesi ed è la più grande organizzazione medico-umanitaria indipendente al mondo. Fino a due giorni fa a Port-au-Prince Msf gestiva tre strutture, il centro traumatologico di Trinité, un ospedale materno-infantile e un pronto soccorso nello slum di Martissant, uno dei quartieri più poveri della città. Non è la prima volta che l'ong interviene in zone colpite da grandi sismi. «L'anno scorso abbiamo portato aiuto sull'isola di Sumatra e nel 2005 eravamo nel Kashmir pakistano a curare le vittime del terremoto», ricorda Moschochoritis. «Abbiamo maturato una certa esperienza».
Prima di tutto, qual è la situazione che vi siete trovati di fronte il giorno dopo il sisma?
Grazie ai nostri operatori in loco, che si sono mossi subito per le strade della capitale Port-au-Prince, con il passare delle ore abbiamo disegnato un quadro via via più preciso della situazione sanitaria drammatica che sta vivendo Haiti. Le nostre strutture, due ospedali e un centro di primo soccorso, sono inagibili: l'ospedale della Trinité è completamente distrutto, mentre gli altri due impianti sono fuori uso. Questo è il vero problema, che non riguarda solo le nostre strutture: gli ospedali e i centri medici sono quasi tutti fuori uso».
Come accogliete i feriti, allora?
Abbiamo allestito delle tende nei cortili dei due centri medici non totalmente crollati, dove garantiamo le prime cure ai numerosi feriti che continuano ad arrivare nonostante le strutture siano inagibili. Abbiamo inoltre iniziato a curare alcune persone nelle stanze e nei corridoi dei nostri uffici, come si usa fare in situazioni di grande emergenza. Per ora stiamo andando avanti con gli stock di riserva accumulati nella capitale haitiana. Ma finiranno presto. A breve, probabilmente oggi stesso (ieri, ndr), partirà altro materiale medico dagli Usa, dal Canada e anche da Panama, dove Msf ha una base logistica per le emergenze. Abbiamo spedito un ospedale da campo con 100 posti letto per accogliere i tanti feriti, sette tende per i ricoveri e un'unità chirurgica gonfiabile con due sale operatorie - tra l'altro prodotta in Italia».
Su quanto personale potete contare ad Haiti?
Impossibile dirlo ora con precisione: prima del sisma con Msf lavoravano 800 persone, in gran parte haitiani. Non sappiamo quante di queste siano ferite. Molti stanno cercando i parenti dispersi. Comunque nei prossimi giorni altri 70 operatori umanitari raggiungeranno Port-au-Prince per portare il loro contributo».
Che tipo di interventi medici sono più richiesti in situazioni simili?
Ci sono molte fratture da comporre, ovviamente, poi sindromi da schiacciamento. Ma stiamo trattando anche tanta gente bruciata, con ustioni gravi, perché gli haitiani usano bombole a gas per cucinare, che con il collasso degli edifici sono esplose, incendiando quello che c'era intorno. E' poi molto importante che i feriti, dopo essere stati estratti dalle macerie, siano sottoposti a dialisi per 24-48 ore: la sindrome da schiacciamento spesso provoca insufficienza renale che può causare la morte dei pazienti tratti in salvo. Per questo stiamo inviando anche macchine per la dialisi e medici nefrologi .
Nelle ore successive al sisma Msf ha preso in cura più di mille persone e ha subito iniziato una raccolta fondi per finanziare gli interventi. Normalmente non apriamo sottoscrizioni in così breve tempo, perché prima cerchiamo di raggiungere le zone colpite da catastrofi per capire cosa serve - ci confida Moschochoritis concludendo - «Questa volta la situazione è diversa: sappiamo che le nostre strutture sono distrutte e i nostri operatori locali ci hanno aiutato a capire cosa sarebbe servito».