Giovani Comunisti/e L'Aquila

lunedì 2 novembre 2009

Verità e giustizia per Stefano Cucchi


I/LE GIOVANI COMUNISTI/E CHIEDONO CHE SIA FATTA IMMEDIATAMENTE CHIAREZZA E GIUSTIZIA PER LA MORTE DI STEFANO CUCCHI.
DETENUTO PER 20 GRAMMI DI MARIJUANA LA NOTTE DEL 15 OTTOBRE NEL CARCERE DI REGINA COELI, STEFANO E' STATO MANDATO IL GIORNO DOPO AL PRONTO SOCCORSO CON IL VOLTO TUMEFATTO E DUE VERTEBRE FRATTURATE. STEFANO E' MORTO IN OSPEDALE SENZA CHE I GENITORI POTESSERO VEDERLO.
LE FOTO DIMOSTRANO CHE IL CORPO DI STEFANO E' STATO COLPITO RIPETUTAMENTE.
IL MINISTRO ALFANO TENTA DI NASCONDERE LA VERITA' PARLANDO DI UNA CADUTA DALLE SCALE, UNA BIECA TATTICA USATA PER COPRIRE I RESPONSABILI DELLA MORTE DI FEDERICO ALDROVANDI E ALDO BIANZINO.

STEFANO E' L'ENNESIMA VITTIMA DEL CLIMA DI REPRESSIONE E VIOLENZA CONTRO I DEBOLI CHE QUESTO GOVERNO HA SCATENATO.
NON STAREMO IN SILENZIO. LOTTEREMO AFFINCHE' SIA FATTA GIUSTIZIA.

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Appello rivolto al Presidente della Repubblica affinché sia fatta piena luce sulla morte di Stefano Cucchi, promosso da Giovani Comunisti/e (Prc), Fgci (Pdci) e Uds.

Illustrissimo Signor Presidente,
le fotografie diffuse ieri con estremo coraggio dalla famiglia di Stefano Cucchi impongono una reazione delle coscienze.
Come Lei con la Sua biografia ci ha più volte insegnato, impongono in primo luogo una reazione della coscienza del nostro Paese, Repubblica democratica e antifascista per la cui nascita migliaia di martiri hanno offerto il sacrificio delle loro vite e migliaia di eroi hanno conosciuto la reclusione e l’internamento nelle carceri del regime. Anche in virtù di quel sacrificio, oggi possiamo dire che il tasso di democrazia di un Paese civile si misura dalle condizioni delle sue carceri, dal rispetto che lo Stato assicura a ciascun detenuto.
Se leggessimo con questo metro di giudizio la vicenda di Stefano Cucchi, dovremmo ritenere l’Italia un Paese schiavo, servo della barbarie e dell’arbitrio. Le Istituzioni che Lei rappresenta devono reclamare, insieme alla famiglia e insieme ad ogni cittadino democratico, verità e giustizia.
Ci rivolgiamo a Lei, Signor Presidente, affinché sia fatta piena luce su questo episodio drammatico. Affinché noi giovani si possa cancellare questa assurda vergogna di sentirsi italiani.

Le porgiamo, ringraziandoLa, i nostri più sentiti saluti antifascisti,

(seguono firme)

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da Liberazione

Cucchi, i depistaggi dopo l'indignazione bipartizan

di Checchino Antonini


E ora anche i depistaggi. Dopo il giorno dell'indignazione, dopo quello dello scaricabarile, dopo l'avvio di un'indagine per omicidio, arrivano i primi depistaggi sulla morte di Stefano Cucchi. Anzi, i secondi depistaggi. Perché all'inizio di questa storia c'è la versione classica della "caduta per le scale". Era stato scritto una settimana fa da Liberazione , primo quotidiano a raccogliere la denuncia della famiglia, che da qualche parte si tentava di appiccicare quelle due vertebre rotte a una caduta precedente l'arresto. Versione incredibile per chi lo vide la notte del fermo quando i carabinieri lo portarono a casa per perquisirne la cameretta. Camminava dritto, non si lamentava e non aveva gli occhi gonfi che osservò suo padre la mattina appresso all'udienza di convalida. E che videro i medici della Città giudiziaria che lo visitarono. Lo ha confermato perfino il guardasigilli Alfano quando ha tentato di supportare la versione della «presunta morte naturale». Il referto parlava di «lesioni ecchimotiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente». I comuni occhi neri. A quel medico Stefano accennò delle «lesioni alla regione sacrale ed agli arti inferiori, queste ultime non verificate dal sanitario a causa del (presunto, ndr) rifiuto di ispezione espresso dal detenuto». Eppure ieri, alcuni quotidiani, facevano dire al legale d'ufficio che il suo assistito «non aveva né bozzi né lividi». E le lesioni ecchimotiche che altro sono? Tuttavia il legale non può fare a meno di «pensare che abbia preso qualche schiaffo». Che poi quell'avvocato, secondo i ricordi di Giovanni Cucchi, nemmeno ci doveva essere quella mattina. Stefano si sarebbe piuttosto meravigliato di non trovare l'avvocato di famiglia di cui avrebbe fatto il nome coi militari che l'avevano catturato. Così l'udienza convalidò il suo arresto negandogli i domiciliari con alcune motivazioni strambe, che lui fosse un senza fissa dimora e uno spacciatore tossicodipendente. Dopo quello che era parso uno scaricabarile con l'Arma (che ha fatto altrettanto), uno dei sindacati della polizia penitenziaria, l'Osapp, rende noto un dettaglio che a suo dire potrebbe smarcare le divise grigie e blu dalla faccenda: dopo la visita Cucchi «fu di nuovo accompagnato in una delle camere di sicurezza del Tribunale, questa volta non sotto il controllo dei carabinieri ma della polizia penitenziaria, e lì rimase per un'ora e mezza. Non era solo ma assieme ad altri arrestati. A Regina Coeli risulta che sia stato trasferito attorno alle 15.30». Viene in mente il caso Lonzi, ucciso da un pestaggio nel carcere di Livorno l'11 luglio 2003. Le evidenze delle botte le capiva anche un bambino ma il caso fu archiviato come morte naturale. Solo anni dopo l'ostinazione di sua madre, Maria Ciuffi, ne ha consentito la riapertura. Ma il registro degli indagati suona beffardo: 2 secondini sono indagati per omessa vigilanza e solo un detenuto, amico di Lonzi, per l'omicidio.
Intanto, i Nas dei carabinieri sono stati inviati al Pertini dalla commissione parlamentare d'inchiesta sul servizio sanitario nazionale per raccogliere tutta la documentazione disponibile. Ma era necessario chiamare i carabinieri per un caso che vede coinvolti i loro colleghi? Il caso Aldrovandi - dove la polizia indagò su sé stessa - non ha insegnato nulla?
E tra gli inquinamenti va messa la voce sulla sieropositività del detenuto morto che è stata raccolta da alcune tv. «Affermazioni vergognose e diffamanti. E infondate», ripete Ilaria Cucchi, sorella di Stefano che, a questo punto, comincia a nutrire «serie perplessità sulle modalità di attribuzione dell'incarico dell'autopsia da parte della procura al medico legale e su quanto si sta verificando dopo l'esecuzione di quell'esame». Depistaggi, scaricabarile, passerella mediatica bipartizan. E anche sciacallaggio. Ilaria Cucchi non sa come altro chiamare l'esibizione nei tg di certificati medici, quelli del 118 che fu allertato la notte dell'arresto (ieri sono stati sentiti dal pm gli operatori), che la famiglia non ha ancora potuto leggere.
Forse ha ragione una zia di Stefano quando dice di temere che lo dipingeranno per quello che non era. «Vergognosi tentativi di depistaggio e di scaricabarile. Chiediamo che l'inchiesta venga fatta immediatamente - chiede Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc - ogni ora che passa allontana la possibilità di accertare la verità. Viste le preventive assoluzioni annunciate dal ministro La Russa, visti i vergognosi fatti di Genova e il caso Aldrovandi chiediamo al Presidente della Repubblica di farsi garante della correttezza». Se l'indignazione bipartisan fosse stata sincera si sarebbe visto dalle ispezioni che sono state annunciate ma ancora non effettuate. Oppure come suggerisce una associazione, "Detenuto ignoto", da uno slancio per colmare il buco legislativo sul reato di tortura. Alfano tornerà in Aula martedì.




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